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Tornando al campo romano, nel mentre i cavalieri numidi iniziavano la manovra di disimpegno, incalzati dalla cavalleria romana e dai veliti, Sempronio Longo ordinò alla fanteria di schierarsi e serrare i ranghi preparandosi a marciare contro il nemico; non v'era stato tempo di fare colazione ne di attrezzarsi per il freddo pungente, di contro nell'accampamento punico, gli uomini di Annibale, prima di schierarsi, si erano ben nutriti e cosparsi il corpo di olio e grasso animale per proteggersi al meglio dalle gelide folate di vento. Appena i romani mossero, i numidi dell'avanguardia si ritirarono del tutto andando a costituire con la fanteria leggera uno sbarramento a protezione del grosso dell'esercito del Barcide subito oltre il Trebbia, fiume ingrossato dalle piogge che gli uomini di Sempronio guadarono con estrema fatica, presentandosi sull'argine opposto in condizioni fisiche e morali penose. La trappola progettata da Annibale non solo era scattata ma stava funzionando a meraviglia.

Il comandante romano dispose l'esercito secondo tradizione con i legionari al centro su tre linee (hastati, principes, triarii), la fanteria alleata (italici e cetomani) a proteggere i fianchi destro e sinistro degli stessi e le cavallerie ai lati con i veliti posti innanzi allo schieramento; Annibale invece aveva schierato le proprie truppe, presentando al nemico, 20.000 soldati di fanteria schierati in un'unica linea (gli iberici ai lati, i celti al centro, i fanti pesanti africani, più affidabili ed addestrati divisi in due contingenti, posti poco dietro le cavallerie) con i pochi elefanti e la fanteria da schermaglia dinanzi alla stessa e le cavallerie numida e celtica poste, equamente divise, alle ali. La battaglia si aprì sotto una pioggia torrenziale mista a nevischio (secondo lo storico latino Tito Livio) con il classico confronto di schermaglia tra le fanterie leggere, scontro in cui i veliti ebbero la peggio essendo già provati dal precedente combattimento con i numidi ed a corto di giavellotti. Ritirati tra i ranghi i velites, Sempronio ordinò alle truppe di avanzare mentre Annibale lanciava all'attacco la sua cavalleria contro la controparte romana la quale attirata fuori dal campo di battaglia ebbe la peggio dinanzi ai pesanti cavalieri celtici ed iberici andando infine a ripiegare con disordine verso il Trebbia. Nel mentre la cavalleria romana in rotta lasciava di fatto scoperti entrambi i fianchi dello schieramento amico, i cavalieri numidi che seguivano i compagni celti ed iberici, con un'abile manovra si sganciarono dall'inseguire i fuggiaschi, attaccando i fianchi esposti della fanteria romana con l'ausilio delle truppe leggere cartaginesi, della valida fanteria pesante africana e di alcuni elefanti. Gli alleati italici e cenomani, del tutto inappropriati nel difendere i fianchi delle legioni impegnate in un furioso combattimento in prima linea contro i celti e gli altri elefanti, cedettero, sopraffatti dall'assalto; a questo punto, intuendo che il momento cruciale della battaglia era giunto, Magone mosse i suoi 2000 uomini piombando come un falco alle spalle delle legioni romane, trovando solamente i triari ad opporre un minimo di resistenza. Fu la fine dell'esercito di Sempronio che si sfaldò totalmente, tranne 10.000 uomini del centro (tutti legionari) che guidati dallo stesso console riuscirono a sfondare il centro cartaginese costituito dai celti, trovando la salvezza in un'ordinata ritirata verso Piacenza, unica soluzione possibile dato il totale isolamento dal resto dell'esercito romano ormai circondato ed in trappola.

 

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La battaglia della Trebbia

 

 

 

 

218 a.C. 18 dicembre; all'alba di un freddo mattino, Annibale ordinò alla cavalleria numida, circa 1000 uomini, di attaccare il campo romano dopo aver attraversato il Trebbia. Questi incredibili cavalieri leggeri, esperti nell'arte della schermaglia e del combattimento "mordi e fuggi" riuscirono a provocare la frettolosa reazione del comandante romano Sempronio il quale, giudicando l'attacco suddetto come un'inaccettabile provocazione, altra idea non ebbe che lanciare addosso ai numidi tutta la cavalleria a sua disposizione più 6000 velites (fanti equipaggiati alla leggera, armati di giavellotti, spade corte e scudo). 

Nottetempo Magone aveva condotto un contingente di 1000 fanti e 1000 cavalieri, per la maggior parte ancora numidi, ad est di quello che sarebbe stato il campo di battaglia, imboscando gli uomini nella fitta vegetazione, in attesa.

 

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